AGOSTO'08

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“Il découvrait pourtant avec surprise que l’emploi qu’un homme finit par obtenir est rarement celui pour lequel il se croyait préparé et dans lequel il pensait pouvoir etre utile. ”

Marguerite Yourcenar, “Archives du Nord


A Keuni tra Goganga e Makakita sono come un vecchio Orfeo.
A Keuni tra Goganga e Makakita sono come un vecchio Orfeo.



   Simona ha avuto la febbre tutta la notte. Di prima mattina partiamo per Pala. All’ospedale attendiamo di fare la “goccia spessa”: l’esame per la malaria.
Attendiamo su di una panca di cemento sotto una tettoia di lamiera zincata che tintinna per la pioggia, c’è un certo silenzio tra i candidati pazienti che ci stanno a lato, davanti e dietro, e il dottore dell’accettazione sembra non arrivare mai.
Per il malato in genere e africano in particolare, attendere è un’attività e un dovere. Impazienti siano i sani se hanno qualcosa da fare! Tra queste panche non ci sono che pazienti. Clienti dell’ospedale.
Sembra che molti a forza d’attendere abitino qui; e la sensazione che si ha aspettando; tra questi bambini che girano, tra queste persone che tossiscono, si stendono, sputano, pregano, si grattano e mangiano; è che il rischio di prendersi qualche altra cosa oltre a quello per cui si è venuti sia veramente alto. Inoltre la fiducia sul test per la malaria mi era già scemata l’altra volta, quando l’ho fatto io e mi aveva regalato un bel falso negativo. Qui nulla è scontato, meno di tutto la salute e la sanità; il rischio di mangiare qualsiasi cibo, di bere qualsiasi cosa, il prurito facile ad ogni contatto, le bestiole velenose, la mancanza d’igiene, il veicolo zanzara, ma anche qualsiasi taglio, qualsiasi piccola ferita o bruciatura, decuplicano la probabilità di decorsi più lunghi e più difficili che da noi.
Mentre vedo l’evidenza della malattia e il limite della cura; la nostra umanità comune di pazienti rimane tutta sotto la lamiera come qualcosa di sacro, al riparo dalla pioggia, viviamo tutti della speranza in sospensione di guarire, anzi di essere curati, e intanto riempiamo del nostro odore l’aria umida, come custoditi nell’attesa; io e Simona restiamo immersi accettando tutto ciò che significa aspettare come malati africani, offrendo rapidi agganci ad ogni accesso lirico, ma anche ad ogni saluto, ogni concreto sguardo che ci pone la domanda: che ci fate voi qui?
Nell’attesa la febbre svanisce…




   Djomba, l’animatore del club “risparmio e credito” di Gagal, benvestito, anima l’assemblea mensile per la revisione del portafoglio di credito.
Finora, rispetto all’attività di animazione in campo agricolo, questa sui CEC, ci lascia minor margine di partecipazione; in generale è un bene perché significa che l’attività procede da sola, ma per noi e per Simona in particolare, significa anche che la nostra presenza è limitata per lo più all’assistere, almeno per ora.
“Les clients n’achetent pas les produits, mais ils achetent une solution à leurs problémes. Si un concurrent offre des produits entierèment différents, avec des milleures solutions, les clients passeront à meillure solution.” (Kun Wilson). Scrive Djomba s’una tavola di legno nero che funge da lavagna, compiacendosi delle conoscenze base di marketing. Ma qui in realtà si parla sempre di microfinanza e il CEC non conosce concorrenza in questo, in quanto unica cooperativa del Tchad ad occuparsene. Sono presenti i gerant di Bebalnda, Gagal, Keuni, Reb-Reb e Salamatà, tutti poco più che ragazzi. Si decidono e si scrivono gli orari, e si scrive alla lavagna l’ordre du jour, viene nominato il segretario relatore, chi si occuperà della cucina, chi del regolamento, e poi si disegna una grande tabella in cui si scrivono le cifre dei crediti e dei debiti di ciascuna sede; poi ogni gerant viene chiamato a rendere conto di quelle cifre, che per un momento nel suo racconto diventano sementi d’arachide, mais, buoi, motociclette, persone solvibili e insolvibili, garanti e perdite, rigorosamente inseriti nel tempo.
I giovani gerants scrivono le cifre sulla lavagna così lentamente che sembrano compiere un atto magico, un’astrazione che li divide da tutti gli altri viventi, più ancora di coloro che riproducono le storie in immagini.
Eppure anche le loro cifre contengono racconti.

Verrà discusso quanto ogni debito sarà difficile da recuperare e quanto ogni gerant sarà capace di farlo, utilizzando “verbi d’azione” in sintonia con la filosofia del CEC; ma tutto in un’aria familiare che non è mai professionismo e non sa di “mors tua, vita mea”; quelle cifre ancora sembrano rappresentare più che condannare i debitori. E il linguaggio serve a formare uno spirito o a dare una direzione più che a farsi strumento di un sistema finanziario che miri ad essere più potente della gente a cui si rivolge, che vi ci si affida e che non può fare altrimenti.
Perché l’obiettivo, anche e soprattutto verso coloro che accedono al credito, è di farli sentire parte di una realtà che si può amplificare con i loro progetti, di cui tutti i membri sono parte.
Ciò non toglie che le azioni compiute in quest’ottica di bene comune possano essere anche sgradevoli, come quando si deve recuperare il denaro dai debitori che non hanno saputo mantenere gli impegni o come quando si scoprono ad ogni passo i rivoli e le derive di comando cui porta ogni gerarchia, anche dentro alla struttura del CEC.
Qui come ovunque è evidente, anche in una riunione, la paura della resa dei conti, che è un'immagine (anche se svuotata di senso) del giudizio.



In uno sterminato campo di manioca di Deli, si contano le 'boutures' migliorate da portare ai paysans.
In uno sterminato campo di manioca di Deli, si contano le 'boutures' migliorate da portare ai paysans.





Manioca
Manioca

"Garoua"

"Una ragazza"

"Il matto dove lo metto"




2008

LUGLIO'08

GIUGNO'08

MAGGIO'08

APRILE'08

MARZO'08

FEBBRAIO'08

GENNAIO'08


2007












Paysans che sarchiano un piccolo campo vicino Pala.
Paysans che sarchiano un piccolo campo vicino Pala.



   Nel sapore dei pensieri al risveglio, mi chiedo se sognarmi ancora a Treviso rappresenti la mia verità come colta di sorpresa o se sia il prezzo di un’impercettibile delusione per le rinunce fatte, che comunque erano inevitabili e mi hanno portato consapevole fin qui. La ragazza cui mangio il collo bianco non abbandona in ogni caso la mia atmosfera in tutte queste mattine di pioggia.
Ma è già tanto che riprendendo il controllo della veglia io mi senta fortunato come un naufrago ripescato che ritrova rubati i suoi averi. Salvo e con tutto da rifare, da riradunare. È in me ancora qualcosa che brucia e ribolle, e questo non è luogo per sublimarlo; ma da qui riesco a prestare attenzione ai movimenti esterni più lievi e parlando con gli altri in altra lingua, a spegnere un po’ il fuoco. Mi ero detto narratore ma non so se ho raccontato una storia. Mi ero sentito “abitato” senza capire quanto costasse il rischio dell’abbandono; ora non voglio fare segni sull'argilla per non forzare ancora una cicatrice fresca. Vorrei invece essere capace di raccontare a questi contadini, nel miglior modo possibile, le piccole cose che vengo apprendendo, per esempio, su come migliorare la resa di un campo di arachidi; e non solo con la mia voce, ma con tutto cio di cui dispongo: dal disegno al racconto; sempre attraverso le conoscenze tecniche dei collaboratori locali e le loro parole.
Penso è bello che ci sia un progetto tra i manghi e le capanne; è bello anche per me che passo le mie lente o frenetiche giornate con Simona e con queste persone che m’impegnano, che s’impegnano e che chissà perché, io non fotografo mai.
Per ora mi colloco nel solco di un aiuto che mi aiuta, e non mi sento per questo in nessun modo strano, colpevole, spento.




   La brousse in una giornata di sole durante la stagione delle piogge è un’individuazione della Grazia.