FEBBRAIO '08

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"Onde avviene, cosa assai nota, che i deboli vivono a volontà del mondo, e i forti a volontà loro."
Giacomo Leopardi, "Pensieri"
 


Sarà successo, chissà a quanti, di dover rinunciare ad un viaggio, ad un’impresa, ad un’avventura; perché nel posto dove si doveva arrivare la situazione era mutata, erano cambiate le condizioni di ospitalità.

Io e Simona eravamo pronti a partire questo mese, il 17 per la precisione, e raggiungere il Tchad e a starci per due anni; con cura abbiamo salutato tutti, abbiamo lasciato i nostri impieghi, abbiamo festeggiato il 9 febbraio il mio compleanno e la partenza, abbiamo messo a posto le cose lasciate sospese, quasi tutte. Per partire il più serenamente possibile ed intraprendere il compito per cui insieme ci eravamo già preparati da più di un paio d'anni. Un paese d’Africa quasi ignoto che ipoteticamente, in una sua piccola cerchia di villaggi, potesse avere utilità di noi; della nostra estraneità pronta all’immersione e della buona volontà necessaria a rispondere a quel progetto di animazione rurale e microcredito con cui ci hanno misurato.

Ma a causa di ciò che sta accadendo in questi giorni è inevitabile che per partire si debba aspettare ancora, e così anche per cambiare aria e per sentire una nuova aria senza odore di guerra.

“Che bel paese, che bel paese, che bel paese”, tre quarti di deserto e dove c'è un po' di verde hanno trovato il petrolio. Tutti attratti dal favo: la Cina, L’America, la Francia, tutti gli altri e il liberomercato, divinità assoluta del mondo, libertà falsa senza alternativa.
"Per il bene di chi è allora questa lotta di potere?" Mi chiedi di un paese impoverito che per le sue ricchezze è mira dei ghiottoni del nord, dell’est e dell’ovest. Sembra semplice capire che per il bene di uno o due è già stato svenduto tutto; ma non c’è cosa più incomprensibile.
"Per il bene di chi questa lotta di potere?" Certo è per il bene del potere, lo specchio che cambia volti.
Il resto è geopolitica e informazione per ora, penso che
la storia abbia senso solo se sappiamo stringercela addosso, anche conoscere ogni cosa della seconda guerra mondiale non conterebbe nulla se il nome di Hitler non ci squotesse l'anima.
So che ogni congiuntura politica ed economica, ogni decisione ai vertici è contraria al naif, al rimasto indietro nella corsa allo sviluppo, ed è infausta quì come laggiù.
Non posso non pensare ai “nostri” villaggi, che non ho mai visto.
Arachidi e miglio: premio saranno di chi non sa d’avorio e di trivelle. Ed è già molto per chi ha la fame e non può variare menù.

So che
per noi sarà Tchad prima o dopo  e che anche allora non saprò niente. Non so come sarà. Quando sarà riflessa su di un altro specchio esattamente la mia faccia.
Non so più quando ci andrò.








In seguito ai recenti avvenimenti bellici in Tchad, la nostra partenza,
prevista per il 17 febbraio, potrà essere postposta indefinitamente.
Colpo di stato a N'Djamena in Tchad (2/2/2008)
Fino al giorno dell'involo noi abiteremo a Trieste.




*Trieste*


*Propositi di Trieste*












C'è un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
 Walter Benjamin, "Angelus novus"

'Angelus Novus'
'Angelus Novus'








29 febbraio 2008. Francia-CIAD. La maschera è caduta. Comunicato di sopravvivenza. Il viaggio del presidente francese Nicolas Sarkozy in Ciad questo 28 febbraio non sarà servito a nulla fuor che a garantire l'eliminazione e l'eliminazione probabilmente fisica dei rappresentanti dell'opposizione democratica contro il regime Déby. La Francia, che prova a far credere l'opposto (ma non vi riesce), si rende così di nuovo complice della dittatura ciadiana e fa già abbaglianti promesse nel discorso pronunciato dal presidente francese questo stesso 28 febbraio. Ciascuno sa (e Nicolas Sarkozy in primo luogo) che le autorità ciadiane mentono sulla sorte degli oppositori ciadiani scomparsi dal 3 febbraio scorso. Non ci sono più dubbi da molti giorni: sono stati i soldati del regime che hanno tolto di mezzo i due oppositori Ibni Oumar Mahamat Saleh, segretario generale della parte per le libertà e la democrazia (PLD) e Ngarlejy Yorongar, dirigente del fronte d'azione per la rinascita (FLAN BRETONE). Se Lol Mahamat Choua, il presidente della raccolta per la democrazia ed il progresso (RDP), anche tolto di mezzo, "è stato finalmente trovato vivo", appare sempre più chiaro oggi che gli altri due oppositori sono stati probabilmente eliminati. Suonano come un consenso le parole di Idriss Deby questo giovedì 28 febbraio, quando afferma che il bilancio della battaglia Djamena (del 2 ed il 3 febbraio scorsi) toccava alla fine "400 morti o dispersi fra i quali capi di parti politiche" . La vigilia dell'arrivo del presidente francese a Djamena, la primature ciadiana avevano annunciato soltanto il deputato Ngarlejy Yorongar, così "trovato vivo", gli andavano prendere la parola pubblicamente in occasione di questa visita. Un avviso grottesco ripreso dalle autorità francesi che da allora sono restate sorde alle prove dei parenti degli oppositori scomparsi, che il presidente francese ha rifiutato di intendere in occasione della sua visita. Così l'avviso fatto ieri dal presidente francese di avere ottenuto "la creazione di una commissione d'indagine internazionale sulla scomparsa degli oppositori e (...) avere perorato per una ripresa del dialogo inter- ciadiano" è più che indecente. È puramente scandalosa. Occorrerà del resto precisare che questa commissione d'indagine sarà presieduta da un dignitario del regime, Nassour Ouaïdou e che presiedono dell'assemblea nazionale l'ex primo ministro e un membro della maggioranza presidenziale? Come in seguito interpretare le opinioni del presidente francese tenute ieri dinanzi al Comitato di sorveglianza dell'accordo del 13 agosto 2007.1) al quale l'opposizione rifiuta di partecipare nell'attesa che la sorte dei dispersi sia chiarita? Arguisce che i membri dell'opposizione "non possono praticare la politica della sedia vuota", poiché "per riconciliarsi, occorre essere in due", il presidente francese ha fatto qui prova di un cinismo e di un disprezzo che superano ogni intendimento. Da molti anni, la Francia è pregata di incoraggiare e sostenere le domande della società civile ciadiana per l'organizzazione di un dialogo (lungo, difficile ma indispensabile; che comprende l'opposizione armata e l'opposizione non armata) destinato a prendere il cammino verso la pace e la riconciliazione, seguito da elezioni innegabili.
Il dramma che subisce oggi il popolo ciadiano è una conseguenza della contraddizione della politica francese sulle ex colonie, che si è costantemente astenuta da apportare un contributo qualunque a questo dialogo. In queste condizioni, si poteva soltanto temere il peggio. Si poteva soltanto temere che Parigi sostenesse, qualora arrivi, il suo dittatore preferito. E così fu. Déby ha beneficiato del sostegno francese (in informazioni, in armi, in munizioni) necessario per mantenersi al potere, ed iniziare la caccia agli oppositori ed ai dirigenti delle organizzazioni della società civile. Chi ora impedirà al regime criminale e corrotto di Idriss Déby di proseguire le sue scorribande? Chi proteggerà la popolazione, il tempo e lo spazio necessari per lo stabilimento di un dialogo che l'includa? Chi permetterà il ritorno dei dirigenti della società civile ed il loro ristabilimento nei loro diritti? Certamente non la Francia, che si è completamente ritirata per tale compito e che continua a deleggitimare Eufor la cui imparzialità è messa in discussione dalla partecipazione di più di 500 soldati francesi distaccati del dispositivo sparviero, pietra angolare del regime Déby. È un appello alla Comunità internazionale che noi facciamo nuovamente oggi. L'ONU deve infatti prendersi le sue responsabilità. L'ONU deve intervenire affinché la Francia, giudice e parte, cessi di essere un interlocutore per il "regolamento" della crisi ciadiana. In margine a quest'impegno interessato della Francia in Ciad, le promesse di rottura  pronunciate al capo in Sudafrica dal presidente francese non creano illusioni. La Francia, ed il suo nuovo presidente Nicolas Sarkozy, perpetua una politica che, sotto la copertura della "stabilità", non finisce di contribuire ad immergere il Ciad nel caos.







CIAD
11/2/2008 11.08
RIBELLI ATTIVI NEL SUD-EST, FORZA EUROPEA “NON NEUTRALE”
Economia e Politica, Standard

Mentre la situazione nella capitale N’djamena sta progressivamente tornando alla normalità, notizie di combattimenti e movimenti di truppe arrivano dal sud-est del Ciad. In una nota diffusa ieri, i ribelli del Comando militare unificato (Cmu) – la struttura che controlla le truppe dei tre principali movimenti armati anti-governativi protagonisti degli intensi combattimenti avvenuti lo scorso fine settimana a N’djamena – hanno fatto sapere di aver preso il controllo di Am-timane, capoluogo della regione sud-orientale di Salamat, oltre 600 chilometri a est della capitale. Secondo le informazioni dei ribelli, la città sarebbe caduta nelle loro mani dopo una breve scaramuccia con le forze governative dispiegate nell’area e alcuni combattenti sudanesi (legati ai movimenti anti Khartoum attivi in Darfur) alleati del presidente ciadiano Idriss Deby. Gli scontri si sarebbero conclusi nel primo pomeriggio e, almeno dalle scarse informazioni in circolazione, non avrebbero provocato particolari conseguenze. Am Timane si trova nella zona a ridosso del duplice confine con il Sudan e con il Centrafrica. Fonti ufficiali ciadiane e francesi fanno sapere che una colonna di militari dell’esercito regolare del Ciad, sostenuto da reparti francesi, sta inseguendo i ribelli, i quali hanno annunciato di voler “liberare” tutte le principali città del paese. Mentre le notizie sui tempi del dispiegamento della forza militare europea (Eufor)in Ciad e Centrafrica continuano ad essere contrastanti – alcune fonti danno per imminente l’arrivo del contingente, mentre altre (il comandante della forza in un’intervista rilasciata oggi alla ‘Bbc’) riferiscono di un rinvio di almeno un mese – i ribelli in una nota dicono di “non credere più nella neutralità di una forza composta essenzialmente da elementi francesi”, accusati di aver giocato un ruolo attivo nei combattimenti della scorsa settimana a sostegno del presidente Deby. “Di conseguenza – scrivono ancora i ribelli, in un messaggio datato 10 febbraio – chiediamo agli altri paesi europei di astenersi dall’inviare i loro concittadini in un’operazione il cui fine ultimo è quello di proteggere il regime di Deby”. [MZ]


SUDAN
10/2/2008 17.19
“FLASH”: A MIGLIAIA FUGGONO DAL DARFUR IN CIAD DOPO COMBATTIMENTI
Giustizia e diritti umani, Brief

Sarebbero 12.000, secondo fonti dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr/Acnur), i civili che hanno lasciato la regione occidentale del Darfur per ripararsi in Ciad e sfuggire ai combattimenti segnalati da venerdì. Fonti giornalistiche internazionali riferiscono che le forze regolari sudanesi hanno comunicato di aver ripreso il controllo di Abu Suruj, Sirba e Seleia, le tre località del Darfur occidentale, situate a nord della capitale statale Geneina, che il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) aveva detto di aver conquistato venerdì. I profughi starebbero intato convergendo verso la regione di Birak, nel sud-est del Ciad, dopo gli scontri tra ribelli, predoni arabi ‘janjaweed’ ed esercito sudanese con bilanci che oscillano dalle 27 vittime riferite da testimoni alle 200 riportate anche in un comunicato di condanna dell’Onu. La situazione nell’est del Ciad è già tesa dopo i recenti combattimenti tra i ribelli del Comando militare unificato e le forze armate di N’Djamena. (vedi anche ‘flash’ delle ore 12:27)
mb14[FB]


CIAD
10/2/2008 14.16
“FLASH”: ALLEGGERITO COPRIFUOCO A N’DJAMENA
Altro, Brief

Il progressivo ritorno alla calma a N’Djamena ha spinto il governo ad alleggerire il coprifuoco imposto giovedì dalle 18:30 alle 6, che resta invece pienamente in vigore in sei province del centro e dell’est del paese, dove sono segnalati combattimenti. Il ministero dell’Interno ha informato i residenti della capitale che potranno circolare liberamente fino alla mezzanotte mentre il portavoce delle forze militari francesi, Pascal le Testu ha riferito che i cittadini stranieri rifugiati nelle basi militari transalpine stanno tornando alle loro residenze. “La situazione è calma, la gente è tornata al lavoro” ha aggiunto le Testu segnalando al contempo “leggere schermaglie” nella regione centrale di Mongo, a circa 500 chilometri da N’Djamena. Intanto, oltre il fiume Chari, che separa il Ciad dal confinante Camerun, le agenzie umanitarie hanno iniziato la distribuzione di generi di prima necessità ai profughi ciadiani riparati al di là della frontiera a Kousseri. Ieri i ribelli riuniti nel Comando militare unificato avevano annunciato la presa di Mongo e della vicina località di Bitkine. (vedi ‘flash’ di ieri)[FB]


CIAD
9/2/2008 14.01
RETROSPETTIVA DA N'DJAMENA: (6) Lento ritorno alla calma

Altro, Standard


5/2/2008 - È calma la situazione questa mattina a N’djamena, dove sono stati registrati solo sporadici colpi di arma da fuoco, risuonati alla periferia della città durante la notte e alle prime ore del giorno: lo riferiscono fonti locali, precisando che anche l’esodo di civili, iniziato domenica e proseguito intensamente per l’intera giornata di ieri, sembra essersi interrotto. Secondo un bilancio preliminare dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur/Unhcr), tra i 15.000 e i 20.000 ciadiani sarebbero arrivati nelle ultime 48 ore a Kousseri, la piccola città del Camerun raggiungibile da N’djamena grazie al ponte che attraversa il fiume Chari, lungo il cui corso corre il confine tra i due paesi. “Oggi il flusso di civili oltre frontiera è fortemente rallentato” ha detto alla MISNA un missionario gesuita, sulla base delle informazioni fornite dai suoi confratelli che gestiscono un ospedale proprio alle porte del ponte e che nelle ultime ore ha assistito molti dei feriti in fuga dalla città. Intanto fonti della ribellione hanno confermatodi aver messo a punto una tregua con le forze governative. “Abbiamo raggiunto un accordo per un cessate-il-fuoco immediato, alla luce delle sofferenze del popolo ciadiano e parteciperemo ai negoziati proposti da Libia e Burkina Faso (i mediatori incaricati dall’Unione Africana, ndr)” ha detto alla MISNA, Hassan Boulmaye, portavoce dell’Ufdd, uno dei tre gruppi ribelli fondatori dell’alleanza anti-governativa che sabato è entrata a N’djamena e i cui uomini, secondo le informazioni raccolte, continuano a essere dispiegati intorno alla città, soprattutto alla periferia orientale e nord-orientale della capitale. “Chiediamo la fine del regime di Deby, un presidente non eletto che ha modificato la Costituzione per rimanere al potere, e un programma di transizione che porti il paese alla democrazia ” ha aggiunto Boulmaye. Intanto nelle ultime ore, i mezzi di informazioni ciadiani vicini alla ribellione continuano ad accusare la Francia di essere ripetutamente intervenuta militarmente a sostegno del presidente Deby con operazioni “di aria e di terra”. Denunce su cui non è possibile avere conferme indipendenti e, solo in parte, confermate dallo stato maggiore francese, che ieri ha riferito di colpi di arma da fuoco esplosi sabato scorso nella zona dell’aeroporto (periferia nord della capitale) dai soldati di Parigi.

6/2/2008 - “Chiediamo ai nostri compatrioti che sono stati costretti a lasciare la capitale N’djamena di tornare immediatamente”: questo l’appello lanciato ieri sera, dopo il telegiornale della sera, dalle autorità del Ciad alle decine di migliaia di persone (dalle 20.000 alle 50.000 a seconda delle fonti) che negli ultimi giorni hanno lasciato la capitale a causa dei violenti combattimenti per rifugiarsi a Kouesseri, nel confinante Camerun, o anche in Nigeria. Invitando i suoi concittadini a rientrare, il generale Mahamat Ali Abdallah, comandante delle operazioni dell’esercito ciadiano, ha poi detto che “non vi è alcun tipo di minaccia sulla capitale e i suoi dintorni”. In realtà, secondo le informazioni in circolazione, forze ribelli fedeli al Comando militare unificato continuerebbero a trovarsi nei dintorni della capitale. Le informazioni provenienti da N’djamena sono scarse e difficilmente verificabili, i mezzi di informazione locali, spesso molto vicini all’opposizione e alla ribellione, riportano notizie confuse di scaramucce e di interventi di militari francesi, su cui non si riesce a trovare conferme. Oggi in città sarebbe attesa anche una delegazione libica incaricata di mediare tra governo e ribelli. Ad accoglierla però le dichiarazioni del primo ministro Delwa Kassiré Coumakoye che ha accusato Tripoli (incaricata di mediare dall’Unione Africana) di aver “sostenuto” e “armato” i ribelli. A N’djamena è invece già arrivato il ministro della Difesa francese Hervé Morin, in una visita a sorpresa durante la quale dovrà incontrare il capo di Stato ciadiano, proprio mentre sui mezzi di informazioni locali cresce il risentimento contro la Francia (ma anche più in generale contro la comunità internazionale, le Nazioni Unite e l’Unione Africana) accusata di essere pronta a sostenere un presidente contestato per salvaguardare i propri interessi economici. Intanto a N’djamena, riferiscono fonti della MISNA, la locale Croce Rossa ha avviato le operazioni di raccolta dei cadaveri che per giorni sono rimasti sulle strade della capitale, coperti solo da alcuni teli o tappeti. In giornata è attesa una nota del Comitato internazionale della Croce Rossa che dovrebbe dare almeno una stima del bilancio di vittime dei combattimenti che hanno scosso N’djamena e che, sempre secondo l’Icrc, avrebbero fatto almeno un “migliaio” di feriti.
[CO]


CIAD
9/2/2008 12.10
“FLASH”: ARRIVATI AIUTI UMANITARI PER I PROFUGHI IN CAMERUN

Giustizia e diritti umani, Brief

Le Nazioni Unite effettueranno oggi la prima distribuzione di viveri e generi di prima necessità a circa 30.000 profughi ciadiani riparati in Camerun nell’area di Kousseri, al di là del confine con la capitale N’djamena. Un primo aereo con 45 tonnellate di cibo è atterrato ieri a Garoua, nel nord del Camerun, e sarà seguito dall’arrivo di un secondo velivolo durante il fine-settimana. “E’ ancora troppo presto per dire quando i profughi torneranno definitivamente in Ciad, dove la situazione sembra più calma, ma nel frattempo continuano ad andare avanti e indietro lungo la frontiera per controllare le loro proprietà” ha detto la portavoce dell’alto commissariato Onu per i diritti umani Jennifer Pagonis. La prima necessità a Kousseri è al momento l’acqua potabile: “Manca e ci preoccupano le condizioni sanitarie dei profughi” ha riferito Veronique Taveau dell’Unicef, annunciando che da ieri è cominciata una massiccia campagna di vaccinazione contro polio e morbillo tra i bambini. Intanto ieri il vice-segretario generale dell’Onu per le operazioni di mantenimento della pace, Jean-Marie Guéhenno, ha avvertito che il proseguimento delle ostilità in Darfur e la tensione tra il Ciad e il Sudan, che N’djamena accusa di sostenere i ribelli nonostante le ripetute smentite di Khartoum, minaccia la aggravare l'instabilità della regione. Fonti militari francesi hanno nel frattempo comunicato che il dispiegamento dei primi soldati della Forza europea in Ciad e in Centrafrica (Eufor) - ufficialmente incaricati di garantire la sicurezza ai circa 240.000 rifugiati sudanesi del Darfur – potrebbe iniziare la prossima settimana dopo essere stato rinviato in concomitanza con l’avanzata dei ribelli su N’djamena. [FB]


CIAD
9/2/2008 12.00
CRONACA DA N'DJAMENA (5): 'Speciale inedito', per l'Ebdomadario

Altro, Standard

"N’Djamena ha l’aria di una città devastata. Tutto è in rovine, fori di pallottole coprono i muri dei supermercati e dei negozi. Girando l’angolo di una strada, ci s’imbatte in una macchina carbonizzata": è la fotografia di N’Djamena pochi giorni dopo gli intensi combattimenti tra militari e ribelli dello scorso fine settimana, descritta da Georges Alain Boyomo, esponente della Croce Rossa camerunense, che in questi giorni si è recato nella capitale del paese confinante. La sua testimonianza è stata pubblicata dal quotidiano ‘Le Messager’, edito in Camerun. "Ai bordi delle strade – continua Boyomo - rami di alberi spezzati dai bombardamenti. Alcune persone sono al lavoro per sgombrare le macerie. Davanti all’ufficio della compagnia aerea ‘Air Toumaï” si respira un odore di morte. Pallottole scintillano sulla strada. Nonostante la Croce Rossa abbia rimosso un centinaio di cadaveri, è ancora palpabile la follia omicida che ha scosso N’Djamena. Sulla strada delle banche, gioielli de'architettura presentano crepe e le loro vetrate sono volate in frantumi. Il palazzo del parlamento, il ministero del Petrolio, la sede della Radiotelevisione nazionale (Rnt), il ministero dell’Istruzione superiore, quello della Solidarietà, tutti sono stati bombardati e saccheggiati. Le normali attività amministrative non sono ancora riprese. Come nel collegio del Sacro Cuore o nel liceo Felix Eboue, i corsi sono tuttora sospesi nelle scuole e all’università. Per le strade, alcuni taxi garantiscono a fatica un minimo di servizio, ma i clienti sono ancora per la maggior parte chiusi in casa. Si vedono operatori umanitari setacciare la città. Il grande mercato rinasce progressivamente dalle sue ceneri, ma la maggior parte dei negozi resta chiusa. N’Djamena è presidiata dall’esercito nazionale; si vedono soldati e gendarmi armati fino ai denti in tutte le arterie cittadine. Alla rotatoria ‘Cento anni’, nella via Bongo o nel quartiere residenziale ci si ritrova molto facilmente faccia a faccia con un convoglio dell’esercito regolare. Carri armati sono allineati davanti alla presidenza. Pattuglie miste, con facce patibolari, fanno la guardia e non esitano a interpellare sospetti. N’Djamena vive nella paura. Nel timore di rappresaglie, molti saccheggiatori hanno accettato di deporre il bottino rubato sui bordi delle strade. Nel frattempo continuano i rastrellamenti allo scopo di scovare ribelli infiltrati tra i civili dopo la battaglia persa di N’Djamena. La Radio e la televisione nazionale hanno ricominciato a trasmettere; la Rnt è provvisoriamente ospitata nei locali del Consiglio superiore degli affari islamici. Con una gioia appena contenuta i giornalisti ricominciano a lavorare, ma dovranno farlo senza archivi perché tutto è stato bruciato durante gli scontri. Lucienne Dillah, ministra dello Sviluppo culturale, ne è profondamente addolorata. Mentre riprendiamo la strada verso Kousseri (località in Camerun vicino al confine, che ospita decine di migliaia di rifugiati scappati da N’Djamena, ndr), vediamo decine di profughi tornare verso casa. Sotto un sole cocente, alcuni sono visibilmente felici di rientrare in patria. Il flusso di civili si è invertito, dal Camerun verso il Ciad. I campi a Kousseri cominciano a svuotarsi e la città riprende il respiro. Era ora! Ma alcuni dubitano ancora di un vero ritorno alla calma a N’Djamena”. (Traduzione e adattamento di Celine Camoin)
[CO]


CIAD
9/2/2008 0.32
PER RIFLETTERE INSIEME

Economia e Politica, Brief

“Fatta eccezione per il primo presidente eletto dopo l’indipendenza (1960), François Tombalbaye, nessun altro capo dello Stato in Ciad è stato eletto attraverso un processo libero e corretto. Anzi, la ribellione armata sembra essere l’anticamera del potere, dal momento che ogni presidente è stato in precedenza un capo ribelle (…) Questo indica come la centralità della forza sia la norma piuttosto che l’eccezione del processo politico ciadiano”. (Paul Simon Handy, ricercatore del centro studi sudafricano ‘Institute for security studies’-Iss).
[CO]



CIAD
8/2/2008 10.59
N’DJAMENA: SI RIPULISCE LA CITTÀ DALLE MACERIE, RIBELLI SEGNALATI A EST

Economia e Politica, Standard

“La situazione in città è tranquilla e stanno proseguendo le operazioni per ripulire le strade dai resti dei combattimenti del fine settimana” dice alla MISNA una fonte contattata questa mattina a N’djamena, la capitale del Ciad teatro nel fine settimana di intensi scontri tra le truppe governative e i ribelli entrati in città sabato mattina dopo un’avanzata di mille chilometri iniziata nelle loro basi dell’est. “Prosegue anche il lento ritorno dei civili che nei giorni scorsi erano fuggiti oltre frontiera, in Camerun, per andare a Kousseri” dice ancora la fonte riferendosi alle decine di migliaia di persone, dalle 50.000 alle 70.000 secondo le stime in circolazione, che da lunedì hanno attraversato il ponte sul fiume Chari per recarsi in territorio camerunese. Intanto, mentre si moltiplicano le informazioni e le smentite sulla partecipazione di truppe francesi ai combattimenti dei giorni scorsi, fonti locali fanno sapere che i ribelli si troverebbero a circa 600 chilometri dalla capitale nella zona tra le città di Mongo e Bitkine, dove nelle ultime 48 ore si sarebbero svolti intensi combattimenti con alcune milizie filogovernative conclusisi con la presa della due località della ribellione ciadiana. E mentre la tensione torna a spostarsi nelle isolate zone orientali del Ciad - dove vivono oltre 200.000 profughi sudanesi provenienti dal confinante Darfur e dove i ribelli hanno le loro roccaforti - aumentano le preoccupazioni degli operatori umanitari. In una nota diffusa ieri, l’ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) ha detto di temere “l’impatto delle recenti violenze sulla capacità di fornire aiuto vitale” alle quasi 500.000 persone assistite nella zona. A preoccupare è soprattutto la scarsità di alimenti nutritivi, medicinali e carburante e il rischio che, le tensioni ancora presenti fuori dalla capitale ciadiana, possano bloccare i rifornimenti attesi. [MZ]


CIAD
7/2/2008 22.38
N’DJAMENA (3): IN FRANCIA SI CHIEDE UNA SOLUZIONE POLITICA GENERALE

Dialogo e pace, Standard

"La soluzione a lungo termine della crisi politica in Ciad può soltanto derivare da un processo più ampio e aperto di negoziato appoggiato dalla comunità internazionale e non da un sostegno militare incondizionato all’attuale governo”: lo scrivono, in una lettera indirizzata all’esecutivo di Parigi, sei organizzazioni religiose e non governative, tra cui la Caritas francese (‘Secours catholique’) e la ‘Rete fede e Giustizia Africa-Europa’, movimento formato da quasi 50 istituti religiosi e congregazioni missionarie, tra cui comboniani (istituti maschile e femmiline), saveriani, oblati, francescani, consolata, missionari d’Africa. "La situazione in Ciad è ancora confusa e pericolosa per i civili. Diversi nostri partner sono stati minacciati e alcuni oppositori politici sarebbero detenuti e rischierebbero di essere torturati o di scomparire" si legge ancora nel comunicato. "Ci interroghiamo sulla posizione della Francia e sul ruolo dei militari francesi dell’operazione ‘Sparviero’ - aggiungono i firmatari -. Nonostante il suo obiettivo pubblico di aiutare la stabilità del paese e della regione, constatiamo che la Francia ha una responsabilità importante negli eventi degli ultimi giorni, con il sostegno a un regime contestato". Gli autori della nota – oltre a quelli precedentemente citati, il Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo (Ccfd), Survie, Acat Francia (Azione des cristiani per l’abolizione della tortura) - chiedono al governo di Parigi di agire a favore della liberazione degli oppositiori politici, della protezione dei difensori dei diritti umani e di impegnarsi a favore di un più ampio processo politico di risoluzione della crisi. [CC]



Ciad,governo:abbiamo controllo totale.
Per MSF 100 morti
mercoledì, 6 febbraio 2008


N'DJAMENA (Reuters) - Il governo del Ciad ha il totale controllo della capitale N'Djamena e del Paese, ha detto oggi il presidente Idriss Deby, nella sua prima apparizione pubblica dopo gli scontri con i ribelli nel fine settimana, che secondo Medici senza frontiere (MSF) hanno lasciato sul terreno oltre 100 morti

"Abbiamo il controllo totale della situazione, non solo nella capitale, ma anche nell'intero Paese", ha detto Deby in una conferenza stampa a N'Djamena. "I complici locali sono stati catturati, alcuni sono scappati, altri se ne sono andati coi mercenari", ha aggiunto.

Secondo MSF, oltre 100 civili sono rimasti uccisi negli scontri tra ribelli e forze governative, mentre 700 sono rimasti feriti.

"Nei tre principali ospedali della capitale abbiamo contato 100 civili morti... e siamo vicini a 700 feriti", ha detto Guilhem Molinie, capo della missione di Medici senza frontiere in Chad, aggiungendo che è molto probabile che il bilancio delle vittime salga rapidamente, con la Croce Rossa che sta ancora raccogliendo cadaveri.

Deby ha detto che la Francia non è stata direttamente coinvolta negli sforzi militari per portare sotto controllo l'offensiva dei ribelli, che ha accusato il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir di sostenere.

"Al-Bashir ha saccheggiato il suo Paese. Invece di lanciarsi in avventure che minacciano la stabilità della regione, dovrebbe usare il suo denaro per risolvere la crisi in Darfur", ha detto Deby.

MINISTRO FRANCESE MORIN IN VISITA

Il ministro della Difesa francese è volato oggi in Ciad per dare sostegno al presidente Deby, sopravvissuto agli assalti dei ribelli nella capitale avvenuti nel fine settimana.

La visita del ministro Herve Morin è arrivata subito dopo che la Francia ha annunciato il suo appoggio al presidente della sua ex colonia, dove la potenza europea mantiene ancora un contingente di 1.000 soldati e una base di aerei militari.

Deby è al potere da oltre 18 anni e questa non è la prima volta che si trova a dover affrontare tentativi di spodestarlo dalla guida del Paese produttore di petrolio.

Dopo essersi assicurato l'appoggio del Consiglio di sicurezza dell'Onu, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto ieri di essere pronto ad intervenire contro i ribelli, che le autorità ciadiane dicono essere supportati dal vicino Sudan. Khartoum nega invece qualsiasi coinvolgimento nel tentativo di colpo di Stato.

Il governo di Deby sostiene di aver sconfitto una coalizione di ribelli formata da tre gruppi principali che hanno preso d'assalto la capitale arrivando dal confine orientale con la regione sudanese del Darfur.

Ma i ribelli, che accusano il presidente - lui stesso arrivato al potere con un colpo di Stato - di essere un dittatore corrotto, hanno detto che la loro ritirata di domenica era solo una mossa tattica e che presto torneranno a colpire.



Guerra in Ciad, imbarazzo a Parigi e Bruxelles

diego.manila Martedì 5 Febbraio 2008

Campo profughi Djabal, nell’est del Ciad


Per gli esperti non vi è il minimo dubbio: l’offensiva dei ribelli ciadiani sulla capitale N’Djamena per rovesciare il regime di Idriss Déby non è soltanto la risposta spontanea di una popolazione ridotta allo stremo da diciotto anni di dittatura.

La fuga degli espatriati occidentali, l’esodo di decine di migliaia di civili e l’accerchiamento militare della capitale del Ciad sono il frutto della politica espansionista del Sudan che sta cercando con ogni mezzo di impedire l’arrivo della forza europea Eufor in Ciad e Repubblica centraficana.

Annunciati il 1° febbraio, i primi soldati irlandesi e austriaci dovranno quindi aspettare ancora prima di vedere un tramonto africano. “Una questione di giorni” sostiene Bruxelles, rinfrancata dal cessate il fuoco accettato oggi dai ribelli. Il rinvio, a dire il vero, era nell’aria. Nel settembre 2007, la risoluzione 1788 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva autorizzato in novembre l’invio di 3.700 soldati europei (di cui 2.100 francesi) nell’est del Ciad per proteggere circa 450.000 civili in fuga dal Darfur e garantire anche la distribuzione degli aiuti umanitari ad altre migliaia di sfollati ciadiani e centrafricani.

Protagonista assoluta è la Francia di Nicolas Sarkozy e del suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner. Per entrambi, la necessità di soccorrere le vittime di un conflitto che in Francia è stato ipermediatizzato non è affatto un capriccio: di mezzo c’è la necessità di ricostruire l’immagine un po’ appannata di Parigi nel continente africano. Una necessità che, associata alla sensibilità di Kouchner per i drammi umani, si scontra però con la dura realtà del terreno.

Da mesi il regime sudanese sta ingaggiando un braccio di ferro con la comunità internazionale per ritardare sine die l’arrivo dei soldati europei in Ciad. Per Khartoum, infatti, la presenza di truppe europee nel paese confinante sarebbe una iattura, quanto quella del possibile dispiegamento in Darfur della forza “ibrida” composta da 20.000 militari e 6.000 poliziotti Onu e dell’Unione africana. Il motivo è semplice: il Sudan non ha mai fatto mistero di nutrire ambizioni egemoniche su un’area nel cui sottosuolo potrebbero esserci ingenti risorse petrolifere. A fare le spese della volontà di potenza regionale di Khartoum, non è soltanto Bruxelles, costretta ancora una volta all’impotenza, ma anche Parigi che, per voce del suo ministro della Difesa, Hervé Morin, ha denunciato la presenza di milizie janjaweed (sostenute da Khartoum in Darfur e note per i loro crimini efferrati) tra i ribelli ciadiani.

A loro volta i ribelli accusano il governo francese di sostenere il presidente del Ciad e di vincolare lo sbarco dell’Eufor alla permanenza al potere del capo di Stato ciadiano. Un’accusa che ha fondamento: la Francia è già presente nella capitale con 1.300 militari in forza ad una missione (”Sparviero”) chiamata non soltanto a evacuare espatriati, ma anche a garantire “un appoggio logistico” all’esercito ufficiale del Ciad. Un’assistenza di parte che cozza contro la presunta neutralità dell’operazione “Eufor Ciad-Centrafica” a cui parteciperanno 2.100 soldati francesi.

Da Bruxelles a Parigi, l’imbarazzo è ormai palpabile. L’emittente radiofonica d’oltralpe France-Info parla addirittura di una chiara presa di distanza da parte dell’Ue nei confronti dell’Eliseo. La trappola ciadiana si sta rivelando fatale per l’Europa.

* chad: le news in tempo reale (fonte Google News)
o Chad Ready to Pardon French Aid Workers - The Associated Press
o Chad troops block 'escape route' bridges - Independent Online
o Four more South Africans evacuated from Chad - Independent Online
o UNHCR Continues Operations in Eastern Chad with Reduced Staff - Voice of America
o Chad: New Danger Zones for UN Workers - AllAfrica.com




5 febbraio 2008
Ciad, guerra civile e popolazione in fuga


“Questa volta vinciamo". Si chiudeva così l'ultima mail del mio amico di penna e corrispondente dal Ciad ricevuta tre giorni fa. La colonna di ribelli era appena partita da una località dell'Est del Ciad in direzione della capitale, con l'obbiettivo di defenestrare il dittatore Deby. Obbiettivo raggiunto, perchè secondo le ultime righe pervenute la capitale Ndjamena è stata presa e il dittatore è assediato nel centro della capitale. Con una mossa che ricorda quella del gambetto negli scacchi, la scombinata opposizione ciadiana, guidata ora da due nipoti di Deby e dal suo ex ministro della difesa Mahamat Nour Abdelkerim è riuscita dove aveva fallito nella primavera 2006 a causa dell'intervento francese. Questa volta la Francia non poteva intervenire, proprio oggi dovevano giungere i primi uomini della forza d'intervento ONU-UE da dispiegare in Ciad-RCA. La missione di peacekeeping, intitolata formalmente alla protezione dei profughi del Darfur, avrebbe dovuto in realtà dispiegarsi entro i confini del Ciad, fornendo aiuto ai profughi di Ciad e Repubblica Centrafricana; centinaia di migliaia di persone in fuga dalle rappresaglie sui civili operate dai loro governi.

Entrambi sotto attacco militare delle rispettive opposizioni ed entrambi salvati per un pelo dall'intervento del dispositivo militare francese operante in Africa Centrale, Idriss Deby Itno e Francois Bozizè avevano ordinato immediata rappresaglia contro le popolazioni sospettate di sostenere le ribellioni, ordini che si erano tradotti in pulizia etnica, stupri e nell'incendio di tutti i villaggi in vaste aree della Repubblica Centrafricana. Una situazione riconosciuta e certificata da una missione ONU, ma stranamente poco dibattuta, preferendo parlare di Darfur, dove se non altro la violenza su larga scala si è arrestata ormai da anni.

La missione europea avrebbe dunque dovuto fornire quella legittimazione internazionale che mancava ai francesi, che hanno combattuto illegalmente anche alla luce degli accordi solenni siglati in occasione della de-colonizzazione dei due paesi africani. Con esatta scelta di tempo i ribelli si sono mossi proprio ora, momento nel quale un altro intervento dei francesi avrebbe vanificato la missione, rendendo evidente la partigianeria di un intervento che invece dovrebbe avere tra i suoi presupposti l'assoluta neutralità. Molti paesi europei, in primis la Germania, avevano espresso gli stessi dubbi e a oggi non era possibile per i francesi mettersi in rotta con i partner europei bombardando le colonne ribelli come accadde due anni fa.

Le cronache ci dicono che Sarkozy, fresco di matrimonio, avrebbe passato un'agitata mattinata al telefono con Deby, intenzionato a “combattere fino alla morte”, mentre già la diplomazia francese gettava ponti con i capi dei ribelli cercando di trattare un cessate-il-fuoco. Tentativo, sembra, andato a vuoto, visto che i combattimenti sono ripresi con tiri di armi pesanti nella capitale. Mahamat Nour è finalmente uscito dalla depressione nella quale era precipitato dopo essersi rifugiato nell'ambasciata libica a Ndjamena ed è tornato a pronunciare proclami. La missione europea è ufficialmente sospesa, l'arrivo dei primi soldati irlandesi rimandato a mercoledì. Deby infine ha preferito la protezione dei francesi alla morte, una pausa nei combattimenti potrebbe concedergli l'occasione per raggiungere una base francese.

Nonostante l'evidente carattere autoctono della ribellione, alcuni autorevoli organi di stampa nazionale (cfr. Il Corriere della Sera, M Alberizzi) ed internazionale parlano di una ribellione sostenuta dal Sudan e addirittura dalla Cina. Una ricostruzione di fantasia, perché se da un lato è vero che esiste un antico conflitto tra i leader di Sudan e Ciad, è altrettanto vero che fu lo stesso Deby ad appoggiare la ribellione armata di un manipolo di abitanti del Darfur, ribellione che poi offrì a Bechir il perfetto pretesto per quella repressione che culminò nelle stragi in Darfur. Tipicamente “ad uso delle pubbliche opinioni pubbliche occidentali” è poi il tentativo (quasi stereotipato) di coinvolgere la Cina, costruendo un fronte composto da “cattivi islamici” e “minaccia gialla”. Stranamente si sorvola invece sul ruolo della Francia nella crisi e anche su quello della Libia di Gheddafi, ormai impegnato da anni nel finanziamento di milizie e, forse qualcuno lo ha dimenticato, autore pochi anni fa del tentativo di conquista del Ciad, come del supporto militare al golpe che portò Deby al potere.

La Libia non sembra esistere nelle cronache che in queste ore raccontano il Ciad. Eppure furono i soldati libici, nel 1990, a portare al potere Idriss Deby Itno sotto gli occhi dell'esercito francese che lasciò fare. Si punta l'indice sul Sudan, ma a dichiarare guerra al Ciad in passato è stata solamente la Libia. Eppure è stato Gheddafi a finanziare molte milizie in Ciad, a salvare e proteggere Mahamat Nour. Gheddafi però è da tempo “amico dell'Occidente”, meglio allora puntare l'attenzione sul regime sudanese (in realtà un governo in condominio tra “cristiani” del Sud e “islamici” del Nord) che pure è indicato dagli statunitensi come un alleato fondamentale nella “War On Terror”. Nemmeno i cinesi guastano, poco importa che proprio l'anno scorso abbiano concluso storici accordi commerciali con il governo di Deby.

Anche della pulizia etnica in Ciad e Repubblica Centrafricana hanno parlato davvero in pochi, probabilmente perché l'argomento nel nostro paese non interessa, non tira. Lo dimostra la squallida storia delle performance italiane a fronte della tragedia del Darfur. Performance che, a parte l'impegno di alcune ONG, si è tradotta nelle tristi esibizioni di Barbara Contini e in una colletta tra cantanti e major della musica andata a vuoto durante il Festival di Sanremo officiato da Bonolis, donarono solo Bonolis e Povia. Del Darfur non ne sapremmo niente, se non fosse per l'ostinato attivismo di qualche organizzazione anglosassone, formalmente impegnata ad ottenere il bollino di “genocidio” come presupposto per un intervento armato di “volenterosi” in Sudan, ma più che altro utile a produrre crisi virtuali con le quali distogliere l'attenzione. Meglio parlare dei profughi del Darfur che dei quattro milioni di profughi iracheni o delle vite devastate di afgani e somali

Difficilmente la ribellione, qualora si risolva in un governo di unità nazionale e non in una resa dei conti, potrà condurre il Ciad oltre la sua storia di dittature etero-dirette, difficilmente i soldi delle royalties del petrolio pagate da EXXON e TOTAL e prossimamente anche dai cinesi, andranno a sollevare le miserie di una delle popolazioni più povere del mondo. Troppo frammentata è l'opposizione e troppo forte è il controllo esercitato sulle varie fazioni dai rispettivi tutori otre frontiera; tutto questo senza sottovalutare il fatto che si tratta anche di una rivolta interna alla “famiglia” di Deby, una frattura all'interno dell'etnia Zagawa, ma anche della stessa famiglia del dittatore, già accusato dall'anziana e leggendaria madre per la morte del figlio di Deby e suo nipote, massacrato in un garage a Parigi dopo che il padre aveva fatto della sua promessa sposa la “Premiere Dame” del Ciad, esibendola anche alle riunioni internazionali nonostante, formalmente, sia solo la sua segretaria.

Niente di serio, ma tutto molto tragico per le popolazioni che soffrono le conseguenze della telenovela. A preoccupare sono anche i riflessi che la cacciata di Deby potrebbe avere in Repubblica Centrafricana dove, sentendo mancare il sostegno di Deby, che lo aveva portato al potere accompagnandolo con l'esercito ciadiano, Francois Bozizé potrebbe avere reazioni violente animando nuovi massacri.

Sono queste ore cruciali per la dittatura di Deby, “presidente regolarmente eletto”, anche se alle ultime elezioni non avrebbe potuto nemmeno presentarsi, ma sono anche ore che fanno tremare tutte le dittature presidenziali d'Africa, non per niente l'Unione Africana ha già annunciato che non riconoscerà alcun governo formato dai ribelli. Ore d'imbarazzo anche per la Francia, che vede sfumare il lavorio diplomatico e militare degli ultimi anni mentre il suo cavallo sembra aver finito la corsa, ore di attesa anche per i governi europei che avevano approntato truppe per “salvare i profughi del Darfur”.

Per il momento la Francia ha rilasciato una sola dichiarazione che parla di “non ingerenza” negli affari interni del Ciad, in singolare contrasto con quella di due anni fa, quando ministero degli esteri e della difesa parlavano “intervento legale richiesto da un presidente regolarmente eletto”, rifiutando qualsiasi risposta alle molte domande che cercavano dettagli significativi che il comunicato eludeva. Ciad e Repubblica Centrafricana rappresentano una parte importante della vecchia “Francafrique” e difficilmente Parigi sarà estromessa dai due paesi, molti all'interno delle opposizioni continuano a guardare alla Francia come fonte d'ispirazione o di sostegno ai propri disegni, la lotta per la liberazione del Ciad potrebbe anche concludersi in una più prosaica lotta per la successione a Deby.

A margine resta il martirio dei civili, oggetto delle attenzioni di milizie di ogni colore, dai governativi, fino ai “cooperants etrangeres” e ai Toros Boros; mercenari stranieri e “Janjaweed” locali(predoni) disoccupati, ingaggiati da Deby e Bozizè dopo la defezione di gran parte dei rispettivi eserciti. Ingaggiati con i soldi del “fondo etico” gestito dalla Banca Mondiale, proventi del petrolio “riservati” alle spese sociali in quell'accordo che, finanziando l'oleodotto per la EXXON con i soldi destinati allo sviluppo in Africa, fu salutato come modello d'avanguardia. I fondi per lo sviluppo hanno finanziato una grande corporation, producendo grossi guadagni per l'attore privato e modeste entrate per il Ciad, soldi comunque spesi in armi. I fondi per lo sviluppo hanno quindi finanziato l'arricchimento dei petrolieri e l'acquisto di armi.

Se, per il momento, al ritardo della missione di soccorso ONU-UE in Ciad fa da contrappeso il concentrarsi delle operazioni armate nella zona della capitale, c'è da temere che a breve nell'anarchia totale si possano consumare stragi e vendette, soprattutto a sfondo etnico, sui rifugiati inermi. Altro motivo d'allarme è l'emergenza alimentare, drammatica per quanti si sono dati alla macchia nel Nord-Ovest della Repubblica Centrafricana, comunque grave per quasi mezzo milione di rifugiati dei due paesi nel Sud-Ovest del Ciad. Vittime del grande Risiko africano, macinati tra gli appetiti di famiglie mafiose e quelli delle grandi corporation, vittime di un colonialismo capace di gestire tutte le opzioni locali senza avere altro orizzonte che l'espropriazione delle ricchezze del paese.

Mazzetta
tratto da www.altrenotizie.org



In Ciad è guerra totale. I ribelli filo-sudanesi padroni della capitale
di Gian Micalessin - domenica 03 febbraio 2008


A Parigi Nicholas Sarkozy impalmava la bella Carla, a N’Djamena il vecchio alleato della Francia lottava per la vita. Il regno di Idriss Deby, il presidente soldato, sembra all’epilogo. N’Djamena, la sua capitale è dall’alba di ieri nelle mani dei ribelli. Lui sopravvive assediato nel palazzo presidenziale, difeso soltanto da una linea di carri armati e da pochi reparti di fedelissimi. Lì attorno s’attesta l’ultima, disperata resistenza, s’accendono i combattimenti più furiosi segnalati da neri pinnacoli di fumo. Qualcuno come Cherif Mahamat Zene, ambasciatore del Ciad ad Addis Abeba, scommette ancora su Deby, racconta di avergli parlato al telefono, garantisce che il presidente controlla la situazione dal proprio palazzo. Versione confermata in parte dal colonnello francese Thiderru Burkhard secondo cui le truppe lealiste stanno riguadagnando terreno e rompendo l’assedio al palazzo. Secondo i ribelli, invece, tutto sarà già finito entro stamattina e il Presidente sarà o prigioniero, o morto, o in fuga verso Parigi. In tutto questo i circa 1200 soldati francesi della missione Sparviero, presente nel Paese sin dal 1986, sembrano non muovere un dito. Parigi, in pessimi rapporti con Deby da qualche anno, conta probabilmente di utilizzarli soltanto per organizzare l’eventuale evacuazione dei francesi e degli altri occidentali, tra cui duecento italiani, bloccati nella capitale.
Comunque vada c’è poco da stare allegri. La fine del 55enne tiranno Idriss Deby, il presidente che sognava di governare a vita, rischia di passare alla storia come l’evento sbagliato nel momento sbagliato. La fulminea avanzata di 300 jeep e circa 2500 guerriglieri capaci in solo sei giorni di superare il confine del Sudan, sgominare le difese governative, divorare 700 chilometri di deserto ed entrare nella capitale non è un trionfo della democrazia. È piuttosto uno scacco alla Francia e all’Europa, il trionfo di quel regime sudanese che in Darfur manovra le milizie responsabili di massacri e deportazioni. Da oggi l’inferno del Darfur non ha più un retroterra per i suoi profughi, per le organizzazioni umanitarie, per le forze di pace africane ed europee incaricate, sulla carta, di difendere le minoranze perseguitate.
L’Unione delle Forze democratiche, la coalizione di gruppi ribelli unificatisi al solo scopo di far cadere Deby rappresenta il capolavoro politico militare di Khartum. In quella coalizione convivono il suo leader Mahamat Nour Abdelkarim, un ex diplomatico uscito dalle file governative 16 mesi fa, e la cosiddetta Unione delle Forze per il Cambiamento di Timam Erdimi, il nipote del presidente in conflitto con lo zio dopo la perdita del monopolio sul commercio del cotone. Ma l’essenza della coalizione è la sua compagine militare. Senza i fuoristrada, le armi e gli equipaggiamenti elargiti dal Sudan l’ibrida alleanza non sarebbe certo arrivata a N’Djamena.
Lo scellerato Idriss Deby ha offerto non pochi punti al nemico. Dimenticando l’aiuto offertogli da Parigi quando, nel 1990, si sbarazzò del predecessore Hissene Habre, l’ex capo di stato maggiore Deby ha rotto gli accordi sullo sfruttamento del petrolio garantiti alle compagnie francesi. Poi, mentre la rivista Forbes lo inseriva tra i dieci tiranni più corrotti del pianeta, emendava la Costituzione, cancellava con un referendum farsa il limite massimo di due presidenze e si faceva eleggere per la terza volta. Ma la colpa più grave è non aver rispettato neppure il suo stesso clan, quegli Zaghawa a cui aveva affidato la ricchezza e le armi del Paese. Uno sgarro pagato con le defezioni registrate ai vertici dell’esercito durante l’ultima decisiva settimana di combattimenti. Per contenere quel disfacimento, venerdì il presidente generale Deby, da sempre famoso per il suo coraggio, non ha esitato a raggiungere la prima linea di Massaguete 50 chilometri a nord est della capitale. Il suo arrivo ha ribaltato la situazione, ma non appena Deby ha tentato di rientrare a N’Djamena le difese di Massaguete sono cadute. Il presidente braccato si ritrova costretto a combattere per aprirsi la strada del ritorno e viene persino dato per morto da alcuni suoi collaboratori.


Ciad: ribelli in marcia verso la capitale, primi scontri venerdì 01 febbraio 2008

ribelli_ciad.jpgPrimi pesanti scontri tra soldati ciadiani e l'armata di ribelli che dopo aver varcato lunedì scorso il confine dal vicino Sudan si è messa in marcia verso la capitale del Ciad, attestandosi a 50 km da N'Djamena. ''Da un'ora sono in corso combattimenti violenti tra le forze governative e la colonna di ribelli a Massaguet'', 50 km nord-est della capitale, hanno detto fonti militari e ribelli.

A Massaguet ''è confluito il grosso della colonna di ribelli''. Fonti dei ribelli, sotto la cui bandiera marciano tre gruppi ostili al presidente Idriss Deby Itno, hanno confermato via telefono satellitare i combattimenti. ''Siamo nel pieno della battaglia. Gli scontri sono durissimi. Aerei ciadiani ci stanno bombardando. L'attacco è scattato a Massaguet. Noi stiamo resistendo per ricacciarli indietro e inseguirli fino a N'Djamena'', ha dichiarato uno dei capi ribelli, Timan Erdimi.

Poco prima delle notizie dei combattimenti, i ribelli avevano annunciato di aver raggiunto postazioni vicino a N'djamena ma di non avere idee bellicose e di volere negoziare con Idriss Deby un patto per la condivisione del potere.''Siamo pronti a negoziare una reale condivisione di poteri, sta al presidente Deby decidere tra pace e guerra'', aveva detto Timane Erdimi a Radio France International.

La colonna dei ribelli consta di 300 pick-up, una forza notevole visto che ognuno può trasportare dieci-quindici persone. Ha traversato il paese avanzando per 700 km da est senza incontrare blocchi di controllo governativi e dunque nessuna resistenza. Ieri l'esercito ciadiano, con in testa il presidente Idriss Deby Itno, si e' messo in marcia per contrastare l'avanzata dell'armata ribelle.

E ancora ieri Erdimi aveva dato al presidente Deby tempo fino a oggi per ''aprire veri negoziati su una condivisione del potere'', altrimenti sarà ''guerra'', aveva detto.

Il contingente francese, presente nell'ex colonia dal 1986 con circa 2.000 uomini, ha appena rafforzato con 150 soldati il contingente dispiegato nella capitale, misura adottata per garantire la sicurezza dei numerosi connazionali che vivono in città. Sarà francese anche la maggior parte del contingente Eufor: circa 2.100 soldati su un totale di 3.700.

Testimoni hanno raccontato che in queste ore a Ndjamena si sta vivendo un'atmosfera quasi surreale: scuole chiuse, negozi serrati, strade deserte di civili e attraversate da camionette cariche di militari, militari a ogni angolo di strada, elicotteri che sorvolano la città.


repubblica
Ndjamena (Ciad), 11:31
CIAD: SCONTRI DAVANTI AL PALAZZO PRESIDENZIALE

Scontri tra le forze governative e i ribelli del Fronte popolare del Ciad sono esplosi in mattinata davanti al palazzo presidenziale di Ndjamena, capitale del Ciad. Secondo al Jazira, i ribelli sono riusciti a sfondare la recinzione che delimita la sede governativa e sono impegnati in combattimenti nell'area intorno al palazzo e alla sede del Comando militare. Da stamane la radio ufficiale ha interrotto le trasmissioni, senza dare alcuna spiegazione. I gruppi armati, riuniti sotto la sigla Cmu (Comando militare unificato), hanno avviato una massiccia operazione militare in risposta ai bombardamenti dell'aviazione ciadiana dei giorni scorsi contro le loro postazioni nell'est del Paese, al confine con il Sudan. Ieri, gli scontri piu' pesanti si sono registrati a Massaguet, 50 chilometri a nord-est di Ndjamena. Qui e' confluito il grosso della colonna dei ribelli, mossasi lunedi' dalla regione orientale decisa a lanciare un ultimatum al presidente Idriss Deby Itno e costringerlo ad aprire un tavolo negoziale per la divisione del potere. L'ambasciata francese ha intanto cominciato a radunare i connazionali - nel Paese africano vivono circa 1.500 francesi - per un'eventuale evacuazione.


Ndjamena (Ciad), 11:56
CIAD: FONTI MILITARI, RIBELLI CONTROLLANO CAPITALE


Dopo tre ore di combattimenti, i ribelli del Fronte popolare del Ciad hanno preso il controllo della capitale Ndjamena. Lo hanno affermato fonti militari, secondo le quali, il capo di Stato Idriss Deby Itno si trova ancora all'interno del palazzo presidenziale.


c.d.sera
ENTI italiani pronti a lasciare il Paese con aerei francesi
Ciad, infuriano i combattimenti
Ribelli del Fronte Popolare nella capitale dopo i bombardamenti dell'aviazione nei giorni scorsi

NDJAMENA (CIAD) - Scontri tra le forze governative e i ribelli del Fronte popolare del Ciad sono esplosi sabato mattina davanti al palazzo presidenziale di Ndjamena, capitale del Paese. Secondo al Jazira, i ribelli sono riusciti a sfondare la recinzione che delimita la sede governativa e sono impegnati in combattimenti nell'area intorno al palazzo e alla sede del Comando militare. La radio ufficiale ha interrotto le trasmissioni, senza dare alcuna spiegazione. I gruppi armati, riuniti sotto la sigla Cmu (Comando militare unificato), hanno avviato una massiccia operazione militare in risposta ai bombardamenti dell'aviazione ciadiana dei giorni scorsi contro le loro postazioni nell'est del Paese, al confine con il Sudan. Ieri, gli scontri più pesanti si sono registrati a Massaguet, 50 chilometri a nord-est di Ndjamena. Qui è confluito il grosso della colonna dei ribelli, mossasi lunedì dalla regione orientale decisa a lanciare un ultimatum al presidente Idriss Deby Itno e costringerlo ad aprire un tavolo negoziale per la divisione del potere. L'ambasciata francese ha intanto cominciato a radunare i connazionali - nel Paese africano vivono circa 1.500 francesi - per un'eventuale evacuazione.

ITALIANI PRONTI A LASCIARE IL PAESE - Una ventina dei circa 200 italiani residenti in Ciad sono pronti a lasciare il Paese. Lo si apprende da fonti della Farnesina. Il ministero degli Esteri, grazie a un accordo con le autorità francesi, ha invitato i nostri connazionali che intendono abbandonare il Paese africano a recarsi nei centri di raccolta approntati dall'ambasciata di Francia nella capitale ciadiana per l'evacuazione. Gli italiani partiranno poi a bordo di aerei francesi.


Espresso
CIAD: SCONTRI DAVANTI AL PALAZZO PRESIDENZIALE


Scontri tra le forze governative e i ribelli del Fronte popolare del Ciad sono esplosi in mattinata davanti al palazzo presidenziale di Ndjamena, capitale del Ciad. Secondo al Jazira, i ribelli sono riusciti a sfondare la recinzione che delimita la sede governativa e sono impegnati in combattimenti nell'area intorno al palazzo e alla sede del Comando militare. Da stamane la radio ufficiale ha interrotto le trasmissioni, senza dare alcuna spiegazione. I gruppi armati, riuniti sotto la sigla Cmu (Comando militare unificato), hanno avviato una massiccia operazione militare in risposta ai bombardamenti dell'aviazione ciadiana dei giorni scorsi contro le loro postazioni nell'est del Paese, al confine con il Sudan. Ieri, gli scontri piu' pesanti si sono registrati a Massaguet, 50 chilometri a nord-est di Ndjamena. Qui e' confluito il grosso della colonna dei ribelli, mossasi lunedi' dalla regione orientale decisa a lanciare un ultimatum al presidente Idriss Deby Itno e costringerlo ad aprire un tavolo negoziale per la divisione del potere. L'ambasciata francese ha intanto cominciato a radunare i connazionali - nel Paese africano vivono circa 1.500 francesi - per un'eventuale evacuazione. (AGI)



Ciad: Scontri Davanti Al Palazzo Presidenziale



(AGI)- Ndjamena (Ciad), 2 feb. - Scontri tra le forze governative e i ribelli del Fronte popolare del Ciad sono esplosi in mattinata davanti al palazzo presidenziale di Ndjamena, capitale del Ciad. Secondo al Jazira, i ribelli sono riusciti a sfondare la recinzione che delimita la sede governativa e sono impegnati in combattimenti nell'area intorno al palazzo e alla sede del Comando militare. Da stamane la radio ufficiale ha interrotto le trasmissioni, senza dare alcuna spiegazione. I gruppi armati, riuniti sotto la sigla Cmu (Comando militare unificato), hanno avviato una massiccia operazione militare in risposta ai bombardamenti dell'aviazione ciadiana dei giorni scorsi contro le loro postazioni nell'est del Paese, al confine con il Sudan. Ieri, gli scontri piu' pesanti si sono registrati a Massaguet, 50 chilometri a nord-est di Ndjamena. Qui e' confluito il grosso della colonna dei ribelli, mossasi lunedi' dalla regione orientale decisa a lanciare un ultimatum al presidente Idriss Deby Itno e costringerlo ad aprire un tavolo negoziale per la divisione del potere. L'ambasciata francese ha intanto cominciato a radunare i connazionali - nel Paese africano vivono circa 1.500 francesi - per un'eventuale evacuazione. .


Missione Ue nell'Africa in guerra

Comincia Eufor Ciad-Centrafrica, la più importante operazione militare condotta oggi dall’Europa. Sostegno umanitario e ricostruzione dei villaggi colpiti
JAVIER SOLANA*
L’unione europea ha appena varato una nuova missione di peacekeeping in Africa. Dopo una minuziosa pianificazione, l’operazione Eufor Ciad/Centrafrica sta per iniziare. È la più importante operazione militare condotta oggi dall’Europa e contribuirà direttamente al miglioramento della sicurezza delle popolazioni nell’Est del Ciad e nel Nord della Repubblica centrafricana.
La drammatica situazione delle popolazioni nel Ciad e nel Darfur è ben nota: probabilmente centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e di profughi. È il triste risultato di un conflitto che non si limita al Darfur, ma che si è propagato alle regioni circostanti. Venire in aiuto delle popolazioni in difficoltà è una preoccupazione costante dell’Unione europea. Lo conferma il sostegno portato sin dall’inizio agli sforzi dell’Unione africana per il Darfur.

La sicurezza e la pace come priorità
Oltre alla prossimità geografica, ci legano all’Africa stretti vincoli storici, politici ed economici. Quello che succede laggiù ha un impatto diretto nel mondo e nell’Europa. Le popolazioni fuggono dalle zone di guerra in Africa, spesso per ragioni economiche ma anche, e troppo spesso, perché ne va della loro vita. Nel XXI secolo questo non è ammissibile.
Lo scorso dicembre gli europei hanno dunque adottato con i Paesi africani la loro prima strategia congiunta, che fa della pace e della sicurezza sul continente africano una delle loro priorità. L’invio di un’operazione di pace nel Ciad e nel Centrafrica si inserisce precisamente in questa logica.
L’operazione sarà condotta nel nome della politica europea di difesa e sicurezza. Verrà fatta in stretta cooperazione con il personale delle Nazioni Unite e con quello delle organizzazioni umanitarie che già agiscono in loco. L’Onu si dedicherà alla formazione della polizia del Ciad per meglio garantire la sicurezza dei campi profughi. Le truppe dell’Unione europea si occuperanno della sicurezza della regione circostante, con il mandato di proteggere i profughi e coloro che li assistono.

Trecento milioni di euro in cinque anni
L’operazione beneficia ovviamente anche del contributo concreto degli altri Stati membri. Si tratta dell’operazione più multinazionale che l’Unione abbia mai condotto in Africa: sotto il comando di un generale irlandese di grande esperienza, Patrik Nash, raggrupperà ventuno Stati membri, di cui quattordici direttamente impegnati sul campo. Le truppe dispiegate dall’Ue nella Repubblica democratica del Congo nel 2003 e nel 2006 si erano già distinte per la loro imparzialità, che è stata una delle condizioni fondamentali del loro successo. Sono certo che accadrà lo stesso anche in Ciad e in Centrafrica nel 2008.
L’impegno dell’Unione europea non si limita all’invio di truppe. Continueremo a fornire sostegno umanitario e assistenza alla ricostruzione nelle regioni colpite. L’Unione investirà quasi trecento milioni di euro in cinque anni come Fondo europeo per lo sviluppo, per una cooperazione a lungo termine che coniughi aiuti d’urgenza, ricostruzione e sviluppo. Così l’Europa aiuterà a gettare le fondamenta di una pace e una stabilità durature nel cuore dell’Africa. Questo è il suo obiettivo oggi nel Ciad e nel Centrafrica. Conformemente alla sua ambizione di costruire un mondo migliore e più giusto.

* alto rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera e di sicurezza comune