Propositi a Trieste - febbraio '08 -

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La storia delle forme di santità è, anch’essa, una discesa chenotica: si passa dagli apostoli ai martiri, ai monaci, ai dottori, agli ordini assistenziali, alle iniziative sociali. La santità sembra essere data a testimoni sempre più piccoli e deboli, ultimamente la chiesa ha dichiarato la santità quasi soltanto di umili frati laici assolutamente incapaci non dirò di compiere le opere di Mosè, o di David, o di Paolo, o di Benedetto, ma anche soltanto di essere consapevoli del mondo che li circonda. Emblematica è la storia di Massimino e Melania, ai quali nel secolo scorso è apparsa la Vergine alla Salette: lui è finito preda dell’alcol, e lei per la sua stranezza è stata sempre scacciata da un monastero all’altro.
(...)
Non credo che sia stata una specie d’errore, né tanto meno di empia intenzione, a trasformare le opere di per sé buone della carità cristiana in istituzioni ed enti caritativi, organizzazioni, società, ecc. che sono in definitiva soltanto mondani. Credo che questo fosse, e sia, un esito inevitabile; finchè l’uomo è quello che è, le opere che fa sono quelle che sono, e purtroppo l’uomo redento per mezzo della fede, sebbene sia scritto che “non può peccare perché è nato da Dio” (1 Gv 3, 9), non è più capace di bene di quanto lo fosse l’uomo della Legge, il quale, dice Paolo, non può fare il bene che vuole (Rm 7, 15).
Sergio Quinzio, “Dalla gola del leone”.



"Il dottor James Tauler, uno degli uomini più notevoli del medioevo, riferisce la storia di un eremita cui un visitatore importuno venne a chiedere un oggetto che si trovava nella sua cella.
L’anacoreta si mosse per andargli a cercare l’oggetto, ma nell’entrare in casa dimenticò quale fosse, perché l’immagine delle cose esteriori non poteva restargli in mente. Allora uscì e pregò il visitatore di dirgli che cosa desiderava, e questi rinnovò la richiesta. L’eremita tornò dentro, ma prima di aver messo le mani sull’oggetto in questione se l’era di nuovo dimenticato; sicchè, dopo diversi tentativi, dovette dire all’importuno: “Entrate e cercate voi stesso quello che vi occorre, perché io non riesco a serbare la vostra immagine dentro di me il tempo necessario per fare ciò che mi domandate”."

Léon Bloy, “Storie sgradevoli”



Non rappresentare più, non essere rappresentante, non chiamarsi più custode di qualcosa; solo testimoniare, testimoniare il proprio momento e ciò che si capisce ora per ora, lasciando dileguare i risultati.
Mantenere la tensione essenziale che indica impegno e arte resta il proposito. Saprò raccontare e l'immagine resterà a margine, non duratura.
Nell'esperienza estetica la "prima vita della cultura" è il vertice comune tra pace e contemplazione, ammirare uno spettacolo già iniziato che pare fermarsi per farsi guardare, ed è sublime. Così soltanto la mia specie si è giustificata, diventando il contraltare dei fenomeni della natura, della storia, dell'arte.
La "seconda vita della cultura" invece è: un animale morto tassidermizzato in modo d'apparir vivo, che tiene tra le zampe un altro animale morto tassidermizzato in modo d'apparire morto. Entrambi già estinti ma ne l'uno ne l'altro mai esistiti.
Dacchè la prima mi è vietata, della seconda sarò l'iconoclasta.
Un tempo miserabile come questo non consente, forse, testimoni migliori, ma anche un teatrante, se paga con la vita, può testimoniare, vanamente, qualcosa.




La casa in piazza Hortis
La casa in piazza Hortis

Lo scalone di casa
Lo scalone di casa