Predica agli Uccelli

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"L’arte mi interessa molto, ma la verità mi interessa infinitamente di più... Più lavoro e più vedo diversamente... in fondo diventa sempre più sconosciuto, sempre più bello. Varrebbe per me la pena di lavorare, anche se non c’è risultato per gli altri, per la mia visione personale... la visione che ho del mondo esterno e delle persone... Penso di progredire ogni giorno. Per questo lavoro più che mai. Sono sicuro di fare ciò che non ho ancora mai fatto e che renderà superato ciò che ho fatto fino a ieri sera o stamattina. Non si torna mai indietro... È lungo il cammino. Allora tutto diventa una specie di delirio esaltante, come l’avventura più straordinaria: se partissi su una nave per paesi mai visti e incontrassi isole e abitanti sempre più imprevisti, mi farebbe esattamente lo stesso effetto. Questa avventura la vivo veramente. Allora, che ci sia un risultato o no, che importanza vuole che faccia? Che in mostra ci siano cose riuscite o mancate mi è indifferente. Visto che per me è in ogni modo un fallimento, troverei normale che gli altri non guardino neppure. Non ho niente da chiedere se non di poter continuare perdutamente. Perché troviamo bella una cosa? Un albero? o il cielo? o i volti? e non banale? Un tempo andavo al Louvre e i quadri o le sculture mi davano un’impressione sublime... Oggi, se vado al Louvre, non posso resistere a guardare la gente che guarda le opere. Il sublime oggi per me è nei volti più che nelle opere... Al punto tale che le ultime volte che sono andato al Louvre sono scappato, sono letteralmente scappato. Tutte quelle opere avevano l’aria così misera - un approccio abbastanza miserevole, così precario, un percorso balbuziente attraverso i secoli, in tutte le direzioni possibili, ma estremamente sommarie, primarie, ingenue, per circoscrivere un’immensità formidabile - guardavo con disperazione le persone vive. Capivo che mai nessuno potrebbe cogliere completamente questa vita... Era un tentativo tragico e risibile."
Alberto Giacometti, intervista 1962.
 







Donna de Paradiso

[Nunzio]
«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».

[Maria]
«Como essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».

[Nunzio]
«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».

[Maria]
«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunziato».

[Nunzio]
«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».

[Maria]
«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».

[Popolo]
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo nostra lege
contradice al senato».

[Maria]
«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».

[Popolo]
«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».

[Maria]
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustiato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ sì lattato?».

[Nunzio]
«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

[Maria]
«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

[Nunzio]
«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

[Maria]
«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

[Nunzio]
«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ‘n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».

[Maria]
«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

[Cristo]
«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ché ’l veio sì afferato».

[Maria]
«Figlio, ch’eo m’ aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

[Cristo]
«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

[Maria]
«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

[Cristo]
«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ‘l core sì à furato».

[Maria]
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».




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