Un fatto: - IL CATALOGO - 1999

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p. 160/162, tavola 4 e 5, vv.202-210/3-4

“[Gilgamesh aprì la sua bocca e disse ad Enkidu]:
‘Di Khubaba [la forza è troppo grande],
[da soli non possiamo affrontarlo,… ]
un sentiero tortuoso [non è percorribile facilmente
da uno solo], ma da due; [ ]
unendo la forza di noi due [ ]
una corda a tre fili è [difficile da rompere]
e un forte leone [non può prevalere] su due leopardi.”

“erano come estasiati all’entrata del bosco,
dove Khubaba andando e venendo provoca terremoti.”

 Da “La saga di Gilgamesh” tradotta e curata da Giovanni Pettinato per Rusconi.



 


In ogni ricerca è opportuno tenere in maggior conto le radici piuttosto che i mutevoli dettami della moda: l’evoluzione è possibile unicamente se comprende anche le fasi precedenti. Molte generazioni diedero vita in passato ad opere di straordinaria bellezza, queste riteneniamo degne d'essere chiamate arte: l’attuale caos c’è sempre parso una tendenza effimera e leggera. Abbiamo invocato bellezza per noi stessi: l'ordine che riscatta l'umano agire dal gesto scomposto, che rende l'opera distinta dalla pulsione; l’ordine non è legato soltanto al gusto, ma è una necessità dalla quale è sconveniente fuggire. Fuggire dall’ordine è come ricadere su se stessi, copiare fedelmente la propria deformità nell’opera: una simile operazione non conduce affatto alla bellezza. Abbiamo desunto una regola dai capolavori già esistenti. Gli anni cancellano soltanto le tracce vacue ed effimere, ma le incisioni profonde non temono l’oblio: la profondità è quindi insita nella maestria degli artisti che hanno attraversato i secoli. I nostri lavori altro non sono che sculture di creta, non vogliono testimoniare nulla al di fuori del loro giusto limite. Altre velleità dai nomi altisonanti non ci convincerebbero; le chiamassimo anche introspezioni e avanguardie, non sarebbero per questo aderenti alle mute superfici. È necessario infatti che le opere siano disinvolte dall’imperfezione del loro creatore. Ai nostri occhi le mani che operarono nei cantieri passati appaiono divine, tanto preciso fu il tocco e stupendo il risultato: così abbiamo carpito a quelle la tecnica di scolpire degnamente e la misura entro la quale può muoversi l’armonia delle forme. Uscendo da quella proporzione si va incontro alla smodatezza che è propria del caso, all’inintelligibilità, prerogativa dei discorsi sconnessi. Non si creda che ad una linea semplice corrisponda un gesto semplice, bensì uno studio assai impegnativo per renderla tale e, tolto il cànone, figlio della tékne, preferiamo ammirare la natura piuttosto che altre concezioni snaturate. La bellezza a cui tendiamo non è esprimibile a parole, per questo, senza le opere, sarebbe passata vilmente sotto silenzio. Abbiamo cercato di plasmarla, sperando che le sculture ne portassero autonomamente la nobiltà, ne fossero anzi il compimento.
Giacomo Magrini






INDIO: Marco e Nicola
Un Indio sta eretto tra gli arbusti. Guarda inanzi a sé con fiero portamento, mentre due sauri si accoppiano su un ramo.



p. 127, tavola 1, vv.82-87

“Aruru lavò le sue mani,
prese un grumo di creta e lo piantò nella steppa.
Essa creò un uomo [primordi]ale, Enkidu, il guerriero,
seme del silenzio, la potenza di Ninurta.”


 


GUERRIERO CON CORAZZA: Marco e Nicola
E’ lo sguardo contemplante di un guerriero in un composto riposo. Ha le corna di cervo ed una sola ala di uccello sulla schiena.



p. 161, tavola 4, vv.236-240/252-253

“[Noi] siamo in grado di attraversare tutte le [montagne];
[noi non volgeremo] il nostro sguardo indietro,
prima di aver abbattuto i Cedri;
amico mio, tu sei ferrato nella battaglia!
Chi ha paura della battaglia [non può essere mio compagno!],”

“[presta]rono giuramento e si posero in cammino,
essi [intra]presero la via della Foresta.”


 


GUERRIERO CON POLPO: Marco e Nicola
Adorno di pesci volanti, un guerriero strozza un'anguilla. Una cinghia di cuoio gli costringe il petto ed un polpo gli è saldamente avvinghiato alle tempie. Adirato, l'uomo grida forte.



p.164, tavola 5, vv.3-4 (versione da Uruk)

“Il tuo amico, o Enkidu,( hai condotto) alla mia presenza,
proprio tu, figlio di pesci, che non conosci tuo padre,
(e sei simile) alle tartarughe piccole e grandi, che non hanno
succhiato il latte delle loro madri!”


 


BALENA: Marco
Caccia marina tra alti flutti. La balena, dibattendosi, scaglia in aria e travolge le imbarcazioni.
(Studi Preparatori)



p. 175, tavola 4, vv.122-127

“Al (primo) sbuffo del Toro celeste una fossa si aprì,
e cento giovani uomini di Uruk caddero in essa.
Al suo secondo sbuffo un’altra fossa si aprì,
e duecento altri giovani uomini [di Uruk caddero] in essa.
Al suo terzo sbuffo una fossa si aprì,
ed Enkidu cadde in essa. Ma Enkidu ne uscì fuori.”



 


DEA: Nicola
La caduta della danzatrice sconquassa ed incendia il palazzo. La dea precipita serena, la sua pelle liscia è cosparsa di detriti.



p. 134-135, tavola 1, vv.227-234/255-260

“Gilgamesh svegliatosi rivelò il sogno a sua madre e disse:
‘Madre, stanotte ho avuto un sogno.
Nel cielo, sopra di me, luccicavano le stelle.
E qualcosa simile al firmamento di Anu mi cadde addosso!”









Desidero inoltre ringraziare in questo luogo Luciano Busatto, per me un benefattore, che ci ha dato la possibilità di far vedere il nostro lavoro , di saggiarne il valore e di serbarne il ricordo .